Prima viene il Paziente

Articolo di Gilberto Corbellini ilSole24ore

Alberto Malliani, notissimo e influente medico-intellettuale milanese scomparso nel 2006, coltivava una visione politica della medicina. Che non era l’idea di una medicina piegata alla politica, molto in voga nell’era cosiddetta post-moderna, e che spesso confonde politica ed economia – cioè descrive strumentalmente medici, medicina e sanità tenute al guinzaglio dalle multinazionali per emettere una condanna ideologica inappellabile per un presunto sistema complottistico scientifico-medico-affaristico-etc. Versione aggiornata delle paranoie populiste e fasciste per il complotto demo-giudo-pluto-etc.

Malliani non risparmiò negli ultimi anni dure critiche alle pressioni indebite esercitate dall’industria farmaceutica sul sistema medico di valutazione dell’utilità dei trattamenti, così come criticò l’aggressività e l’aziendalizzazione della ricerca medica. Riconosceva però il ruolo essenziale dell’industria nel processo sociale di produzione della salute. La lezione che ha lasciato, anche attraverso l’esempio, dimostra che per evitare le derive potenzialmente dannose di una domanda di salute fuori controllo, occorre investire in una formazione culturalmente più articolata del medico. Per farne non uno strumento politico-governativo di controllo dei comportamenti individuali o delle strategie di consumo del bene salute, ma un catalizzatore di consapevolezza critica per la sfera in continua espansione di possibili scelte in materia di salute, che le persone e i pazienti possono praticare esercitando l’autodeterminazione. La Carta della professione medica, che concorse a redigere e che fu pubblicata nel 2002, andava in questa direzione.

Dott. Alberto Malliani

L’idea di medicina politica che si coglie negli scritti del grande internista ha una tradizione nobilissima, che merita di essere richiamata brevemente perché non ha esaurito, diversamente dalle ideologie, la sua spinta propulsiva. La si può raccontare in quattro movimenti. Facendola iniziare con l’età moderna, quindi lasciando una volta tanto in pace Ippocrate, quasi esattamente quattro secoli fa. Nel 1614 il medico ebreo sefardita Rodrigo De Castro pubblicava ad Amburgo il testo Medicus-politicus, che segna le origini della moderna etica medica con una ispirazione specifica nel richiamare l’attenzione pubblica verso la coincidenza tra virtù morali del medico e astensione dall’inganno o da pratiche fraudolente ai danni dei malati. Circa un secolo dopo, nel 1738, il medico tedesco pietista Friedrich Hoffmann, pubblicava a sua volta testo sempre intitolato Medicus politicus, nel quale sosteneva che la fiducia e l’affidabilità che caratterizzano il rapporto medico paziente si fonda sulla partecipazione emotiva del medico per la condizione del malato e la competenza professionale. Un terzo passaggio fondamentale ebbe luogo nel 1848, quando Rudoph Virchow, fondatore della patologia cellulare, definiva la medicina una «scienza sociale, e la politica niente altro che medicina su larga scala»: per Virchow la rinnovata forza politica della medicina si fondava sull’epistemologia sperimentale del metodo fisiopatopologico attraverso cui si potevano scoprire le cause immediate della malattie, quindi trovare sistemi di prevenzione e trattamenti per risolvere i problemi sanitari. All’indomani della Seconda guerra mondiale, sulla spinta dei successi realizzati sul piano scientifico e clinico, i metodi della sperimentazione medica diventavano norme politicamente e legalmente riconosciute nei paesi liberaldemocratici, per garantire la sicurezza e l’efficacia dei trattamenti. Insomma, la medicina ha storicamente portato la razionalità nella politica, consentendo di fondare l’etica sulla scienza. Non è poco.